Appennino Ultra Trail: la sfida splendida e folle di Alessandro

Redazione MtbCult
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Alessandro Botta è uno dei tanti splendidi folli appassionati che popolano il mondo della Mtb, ma allo stesso è anche un biker fuori dal comune.
E’ un appassionato di enduro (è stato campione italiano di categoria) ed è un pedalatore tenace, talmente tenace che l’idea di partecipare all’Appenino Ultra Trail (135 km e 5600 metri di dislivello tutti d’un fiato e in autonomia) lo ha gasato all’inverosimile.
Al punto da decidere di tentare l’impresa, come ci racconta egli stesso.
Ed è stata la vittoria della testa (intesa come volontà e determinazione) sul fisico.
Bravo Alessandro, bravo Stefano Scapitta, il vincitore, e bravi tutti quelli che hanno anche solo tentato l'impresa. 
SL

Mi hanno sempre affascinato i giri lunghi, la sfida con me stesso sul "Quanto posso resistere?”
Mi piace, anche se in maniera diversa, arrivare al limite con il mio corpo, sportivamente parlando, dallo scatto feroce in una PS di Enduro, a una sfiancante salita fatta a tutta, a una discesa lunga da affrontare senza pause, a.... (e mi mancava proprio questo) una gara o un giro molto lungo da affrontare con la testa più che con le gambe.

L'occasione ghiotta arriva da un banner su Facebook: a fine primavera, leggo Appennino Ultra Trail, 135 km e 5.600 metri di dislivello positivo senza pause, 2 giorni di tempo per finirla, ma se vuoi anche moooolto meno....
Faccio due conti:
• l'Appennino mi affascina, non ci sono mai stato, ma so di posti davvero belli;
• la bici giusta per una cosa del genere è già nel mio garage, una Rocky Mountain ThunderBolt 750 Msl;
• lo zaino ce l'ho… e la voglia anche…

Ok! Ho tutto...  ah no!
Mi manca l'allenamento ai lunghi!
Ma per quello ci penseremo durante l'estate.
Iscritto.
La cosa mi dà già una carica enorme.

appennino ultra trail

La Rocky Mountain Thunderbolt 750 Msl con cui Alessandro ha affrontato la gara

Nel periodo estivo mi impongo di fare dei "lunghi" per fare il callo, sì in tutti i sensi, anche al fondoschiena… visto che negli ultimi anni più di 2 ore e 30 sulla sella, consecutive, non ci sono mai stato.
Mi alleno 2 volte a settimana senza tabelle, ma con uscite libere, sempre impegnative ed intense, ai soliti orari strani (leggi le 5:00 del mattino), per non più di un ora e venti, mentre nel weekend inserisco un lungo, mountain bike o bici da strada, a seconda della voglia.
Cerco di allungare sempre di più l'uscita del fine settimana con l'avvicinarsi di agosto e settembre; arrivo a 15 giorni dall'Appennino Ultra Trail con il top, una sparata infernale ai laghi di Naret con Simone, Beppe e Mattia (che mi seguirà sugli Appennini), 170 km con 2600 metri di dislivello positivo in 6 ore!

Le sensazioni lì erano buonissime, perché più passavano le ore e più ne avevo, avrei potuto continuare fino ai 200 km, ma la famiglia chiamava...
Nelle due settimane successive faccio delle uscite normali, mettendo qualche notturna per abituarmi anche alla guida nel buio.

appennino ultra trail


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Il 2 settembre io e Mattia partiamo per Fanano (Mo).
Ore  18.30 al Capanno Tassoni, un rifugio splendido avvolto da una pineta fitta ed ordinata.
Assistiamo al briefing e prendiamo appunti sulla cartina, segniamo i tratti più ostici che gli organizzatori ci segnalano, se tutto andrà bene l'ultima parte la farò di notte e lo Staff indica dei punti poco carini per chi non li conosce.
I sentieri non saranno segnati, ma ci si affiderà esclusivamente alla traccia GPS fornita dall'organizzazione.

Il giorno dopo arriviamo in leggero ritardo alla partenza, dobbiamo ancora sistemare due regolazioni sulle bici e prendere l'acqua.
Guardo l'orologio che dice ore 8:00, e poco dopo sento: PRONTI, VIA!
Iniziamo “bene”.

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Tutti pronti alla partenza, meno qualcuno...

Di corsa le ultime cose, chiudo la macchina, vado a prendere l'acqua al rifugio e via!
Lasciamo per ultimi il Capanno Tassoni che si è svuotato in un attimo, e siamo solo io e Mattia.
Poco importa, penso, il giro è così lungo che i valori verranno fuori dopo le 7/8 ore... e poi non dimentichiamoci che è soprattutto una sfida con se stessi, non una gara vera e propria.

Giro le gambe leggero, hanno detto che la prima parte riserva delle rampe durissime.
Ho montato il monocorona, con un 32x42 come rapporto più agile, di solito giro con la corona da 34, ma dopo le 8 ore avrei pagato profumatamente una da 30!
E' vero, rampe ripide i primi Km, cerco di salire agile dove possibile, lo zaino si fa sentire fin da subito e mi costringe a correggere la sistemazione degli spallacci. Male alla schiena.
Passo un sacco di gente, soprattutto in discesa, la prima pineta è una libidine vera, flow a cariolate, in un misto divertentissimo!
E si va, si sale al Cimone.
Cerco di non guardare i km fatti, sono ancora troppo pochi.

Raggiungo altri biker, mano a mano che avanzo mi accorgo che la tipologia del biker cambia: prima qualcuno fisicamente fuori forma; poi altri con bici un po’ troppo pesanti (ho visto un ragazzo con una enduro Transition Patrol! Che matto e che stima se l'ha finita… ), più si avanza e più le gambe cominciano a depilarsi, tranne le mie sia chiaro, i mezzi cominciano ad alleggerirsi… le frequenze e il passo ad aumentare.

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E' lui il biker con la Transition Patrol?

Arrivo all'Abetone, poi ancora sentieri veloci, la media si alza, sono a 13 km/h, già 3 ore e mezza.
Mangio spesso, mi impongo ogni ora e mezza.
Ho con me uno zaino da 6 kg in cui c'è un cambio, qualcosa per l'eventuale notte in rifugio, ricambi bici e cibo: tanta frutta secca, gel energetici, prugne e albicocche disidratate, barrette.
Niente di buono, insomma...

Poco prima del ristoro al 52° km supero il primo, Stefano, con cui condividerò la parte centrale del percorso.
Saliamo verso la Doganaccia su una salita calda e infinita, tiene un passo identico al mio, ma mi sembra molto più costante ed instancabile. Assieme passiamo dalla Croce Arcana e al Duca degli Abruzzi, siamo da molto tempo senza acqua, io e lui, stessa brutta situazione; immagino che fino a Pracchia non ne troveremo, spero di non andare in crisi...

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La discesa è lunghissima, a tratti meravigliosa, a tratti odiosa perché non è in discesa! Nella prima parte non si scende mai in maniera costante ma ci sono continue rampe o parti pedalate che spaccano il ritmo, sono stanco e mi aspettavo un discesa lunga e continua, ma non è così.
Mi riprendo solo nei single track in faggeta prima di Pracchia, mollo tutto come se fossi in una PS di Enduro, sorrisone alle orecchie e gas spalancato, ormai con il peso dello zaino mi sento a mio agio.

La Thunder è un meraviglia da guidare qui, che gioia!
Atterro a Pracchia con un buon vantaggio su Stefano, trovo un tubo di gomma dell'acqua e me lo prosciugo, fa caldissimo e comincio a bagnarmi ovunque con la canna. Rido perché vista da fuori sembrerebbe una scenda di un film porno, ma con un attore decisamente poco attraente e puzzolente...

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A questo punto, dopo 7 ore e 84 km (foto sopra) decido di fare la prima pausa, non mi interessa se Stefano non si fermerà, io se non lo faccio salto!
Vado al bar: uno Stecco Ducale e 2 Coca, mi riposo 10 minuti su una sedia, guardo il sito della Appennino Ultra Trail e vedo nel LiveTrack che Stefano sta proseguendo.
E’ un grande, passo costante e niente pause, "che testa che ha!", poi lentamente riparto.
Il LiveTrack mi dice che a un’ora e mezza dietro di me c'è anche il mio compagno Mattia, sta andando bene!

Si sale altri mille metri, asfalto, prima dolce poi ripidissimo… 8 ore… 9 ore… gambe in un lavatoio… 10 ore!
La testa mi cede a tratti, pedalo costante poi all'improvviso crollo, butto giù la bici e mi fermo, poi la riprendo, parlo da solo e riparto.

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Arrivo al Rifugio Cavallo alle 18:00, avvolto da una nuvola di tafani che non mi danno tregua da circa 30 minuti. Mi viene da piangere, ma davvero, forse ho anche pianto per un attimo per il nervoso, oltre alla fatica costante devo anche difendermi da questi insetti insistenti, si appoggiano alla bocca, al naso, alle gambe.
Al rifugio zero accoglienza, una signora scortese mi vende acqua tra polemiche sulla gara a cui non voglio dedicare neanche la più piccola delle mie energie. Riparto e nella mia testa vedo il punto in cui sono sul profilo altimetrico, non mi sembra manchi molto, che illusione!

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Interminabili sterrate, interminabili single track, sbaglio un bivio distratto dalla bellezza geometrica di una faggeta e mi ritrovo a dover risalire per 200/300 metri lineari.
Poco, ma per la mia condizione fisica sono tantissimi, per quella morale un macigno, sfioro il pianto di nuovo.
Per fortuna poco dopo imbocco il sentiero 113, una libidine vera! Mi ritorna il sorriso e guido alla grande, tanti doppietti naturali e belle sponde, tutto pulito dagli organizzatori, che spettacolo!
Attraverso il torrente che lo Staff ci aveva segnalato nel briefing come un punto brutto da fare di notte, dove l'anno precedente molti si sono persi nel buio, ma sono le 19:00 e il sole si prepara a tramontare.
Vedo tutto e non sbaglio.

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Cala la notte

Arrivo al Segavecchia, gli chiedo se rimarranno aperti perché in cuor mio non sono più sicuro di riuscire ad andare all'arrivo, devo avere un piano B nel caso in cui crollassi.
Mi rispondono che faranno un festone e che posso tornare: bene!
Saluto e parto tra le urla, dopo 50 metri sbaglio strada, il ragazzo mi urla con un tono potentissimo: TORNA INDIETRO!
«Se ti vedo ti offro 5 lt di birra, chiunque tu sia!»

Salgo e salgo ancora, mi mancano 1000 metri di dislivello....  e mi deprimo, scendo e spingo poi risalgo, poi spingo ancora, sconforto, morale a terra. Quando arriva la notte sono su una sterrata larga, che corre veloce, non monto la luce e guido un po’ nel "quasi buio", mi piace... il fondo è semplice.
Poi cedo alla notte e monto la frontale.
I pedali girano piano, ho il respiro corto, cortissimo, se sforzandomi respiro a fondo tossisco, punto su asfalto verso Corno alle Scale, arrivo al tunnel e sono contento: il mio Garmin mi dà ancora poco dislivello da fare e solo 8 km all'arrivo... anche se so che saranno i più lunghi della mia vita.

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Manca poco ormai e al buio si vede solo il display del Garmin

Arrivo alla fattoria Le Malghe e degli occhi illuminati mi guardano, sono le mucche in una stalla, sono esausto ma vado, mi ripeto a voce alta che ormai è fatta, scendo, sentiero stretto, erba alta, la frontale fa il suo lavoro, schivo dei rospi immobilizzati in mezzo al sentiero, e poi guido, mi diverto nell'ultimo single track in faggeta che riesce a farmi ancora sorridere, la bici scorre forte e silenziosa nel buio; attraverso il "Passo del Lupo" e mi viene un certo "fuoco al culo" al pensiero che qui i lupi ci sono davvero.... speriamo di non vedere occhi gialli attorno a me.

In questa euforia/paura mi immagino che il sentiero arriverà al Capanno Tassoni in discesa, invece una volta su strada sterrata è un continuo susseguirsi di piccole salite, sono a pezzi e cedo, spingo anche su pendenze ridicole, vorrei spianare quelle salite gridando, con un urlo, ma sono lì illuminate dalla luce fredda della mia frontale.
134 km, 13 ore e 50’ dalla partenza!
Respiro piano e vado avanti, pedalo guardando in basso.
Asfalto!
Vedo la mia macchina, poi le luci del Rifugio!
È fatta.

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Lo sguardo allucinato e provato di Alessandro Botta all'arrivo.


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Entro nel vialetto dove quattordici ore prima era stato dato il via e mi trovo gli organizzatori con tutto il rifugio che mi vengono incontro per applaudirmi.
Attimo di imbarazzo, misto a gioia, misto a orgoglio, misto a fatica enorme, misto a gambe distrutte, misto a puzza di sudore, misto a: "È finita!".

Entro nel rifugio e trovo lo sguardo distrutto ma felice di Stefano, arrivato da 5 minuti, è su una panchina, mi ci siedo davanti, siamo stati bravi! Lui più di me, ha avuto una gran testa, una grande costanza: siamo, rispettivamente, primo e secondo assoluti.
Una gran bella soddisfazione.
Gli organizzatori ci coccolano offrendoci una doccia, una zuppa calda e altre prelibatezze.
Io e Stefano ci scambiamo sensazioni e commenti su questa esperienza magnifica che ci è appena passata sopra. Stanchissimi e ancora scombussolati dalla frullata che abbiamo dato al nostro fisico andiamo a letto nello stanzone.

Il mattino successivo mi sveglio e scendo, esco dal rifugio per prendere un po’ d'aria, sono le 7:20 e mentre mi stiracchio ripensando alla fatica fatta sento: "PRESIDENTE!!".

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E' Mattia (il primo a sinistra nella foto sopra), si ferma, felicissimo d’essere arrivato (10° assoluto, tanto di cappello), è scavato in volto, mi racconta che è stato male dal 90° km circa, ha dormito in un bivacco a fianco del Rifugio Cavallo, per un oretta e alle 22:00 si è rimesso in marcia con altri due biker che passavano di lì, una lunga ed estenuate cavalcata di altre otto ore durante tutta la notte con dei microsonni direttamente a bordo strada.
L'ha terminata con le molte difficoltà date dal vomito (per avere bevuto dell’acqua “sporca”… ), pedalando per otto ore senza poter mangiare.
Chapeau Ing!

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Alessandro Botta in azione all'Appennino Ultra Trail

In cuor nostro sappiamo tutti e due che abbiamo fatto qualcosa di speciale, abbiamo cercato per motivi diversi di non sentire cosa il nostro corpo ci diceva, cosa ci urlava in certi momenti e siamo andati avanti con la testa.
Era quello che cercavo, ed è quello che mi piace: far vincere la determinazione, la passione, la "fame", il cuore e a volte l'ignoranza sulla ragione, su quello che sarebbe giusto e sul buon senso.

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