Nicolas Jeantet, meccanico della Svizzera, ci svela i segreti di Nino & Co

Daniele Concordia
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Sapevate che il capo meccanico della nazionale svizzera di ciclismo fosse un italiano?
Proprio così, si chiama Nicolas Jeantet, ha 32 anni e qualcuno di voi si ricorderà di lui per i risultati agonistici nell'Xc, tra i quali ricordiamo anche un titolo italiano junior.

Nicolas Jeantet
Nicolas Jeantet in vesta da atleta nel 2011, quando correva per il Team ISD



Dopo la parentesi da corridore, Nicolas ha intrapreso quella da meccanico, prima nell'azienda di famiglia (RDR Italia), poi sui campi gara, fino ad arrivare in alto, molto in alto...

Nicolas Jeantet
Nicolas oggi, sotto allo stand della nazionale svizzera

Lo siamo andati a trovare al box di Swiss Cycling nei giorni dei mondiali in Val di Sole, per farci raccontare la sua storia e per scoprire quali sono i “segreti” delle vittorie svizzere.
Sentite qui...

- Nicolas, da quando lavori nella nazionale svizzera? E come ci sei finito?
- Questo è il sesto anno che lavoro con Swiss Cycling, tutto è iniziato nel 2016 con la nazionale strada, anche grazie all'aiuto di Edmund Telser (CT della nazionale svizzera femminile e anche lui italiano, ndr). Avevo già lavorato con lui in Colnago, al fianco di Eva Lechner, ma su strada non avevo mai lavorato.

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Il valdostano (primo a sinistra) nel 2016, suo primo anno accanto alle ragazze elvetiche

- Hai accettato subito?
- Gli ho detto ok, va bene, ma devi spiegarmi un po' tutto. Perché le bici posso anche conoscerle, ma le dinamiche sono completamente diverse.

- E com'è andata?
- Bene, ho fatto subito europeo e mondiale strada, seguendo le donne. Poi dall'anno dopo ho iniziato a lavorare anche con le donne del fuoristrada, nei ritiri e nelle gare minori, per quelle importanti avevano già uno staff definito.

Nicolas Jeantet
Non solo Mtb, si occupa anche dei settori strada, crono e Bmx

- Quando sei entrato “a tempo pieno”?
- All'europeo di Glasgow 2018, la Svizzera convocò oltre ai meccanici delle varie discipline (strada, Mtb e Bmx), anche un meccanico “jolly”, che ero io. Yanick Giger, meccanico di Schurter ed all'epoca coordinatore dei meccanici di Swiss Cycling per europei e mondiali, vide come lavoravo e mi disse: «Ma perché non vieni anche nelle altre gare?». Così, dalla gara dopo sono entrato fisso per il settore Mtb e per europei e mondiali su strada.

- Lo scorso anno, però, c'è stato un ulteriore step in avanti...
- Esatto, mi è stato chiesto di diventare coordinatore di meccanici, logistica e materiali di Swiss Cycling. Ho accettato e sono stato assunto a tempo pieno. In pratica, le bici le tocco molto meno, ma mi occupo della parte organizzativa e dello staff.

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Una foto del 2018: pit stop volante a Lenzerheide

- Domanda provocatoria: hai mai avuto contatti o proposte dalla nazionale italiana?
- Nella nazionale italiana conosco tutti, perché sono stato atleta non tantissimi anni fa, poi con Celestino e gli altrti ci vediamo sempre alle gare. Prima di entrare in Swiss Cycling avevo fatto la richiesta di entrare nello staff azzurro, visto che seguivo personalmente Eva Lechner che era l'atleta di punta. All'epoca le porte erano abbastanza chiuse, poi io ero nuovo nell'ambiente e non c'è stata possibilità di parlarne. Ora come ora, non cambierei proprio...

- Perché?
- Innanzitutto perché qui si lavora in modo più tranquillo, poi se hai buone idee ti danno carta bianca, ti ascoltano e ti lasciano sviluppare dei progetti a lungo termine. Per intenderci, non si lavora a chiamata, ma si instaura un rapporto umano con l'atleta. Inoltre, c'è tanta attenzione sullo sviluppo dei materiali. E' molto più stimolante.

Nicolas Jeantet
Insieme a Linda Indergand prima del mondiale in Val di Sole

- Quando parli dello sviluppo dei materiali cosa intendi?
- Si fanno molti test, di laboratorio e non, i cui risultati a volte rimangono segreti. L'obiettivo è capire alcune cose prima degli altri e poi mettere in pratica i cambiamenti sulle bici degli atleti. Cosa non facile, a volte, perché quelli più esperti hanno le loro convinzioni e il nostro compito a volte è sconvolgerle, spiegando perché stiamo facendo questa o quella modifica.

- E' questo il “segreto” della nazionale svizzera di Mtb?
- Sì, ma è importante anche il concetto di continuità ed unione. Noi nel 2019, al test event di Tokyo eravamo già presenti in forze, abbiamo pianificato tutto nei minimi dettagli ed abbiamo lavorato insieme, staff e atleti, per molto tempo prima delle Olimpiadi, non solo in gara ma anche nei ritiri.
Questo ha fatto la differenza, soprattutto prima della gara donne, quando il meteo ha cambiato le carte in tavola.

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Nicolas era anche alle Olimpiadi di Tokyo (guardare la freccia gialla). Alla sua destra un altro italiano, Edmund Telser, anch'egli arruolato nel team svizzero di Mtb.

- Spiegati meglio...
- La pioggia caduta alla vigilia della gara donne ha un po' cambiato il percorso, quindi abbiamo dovuto prendere delle decisioni in pochissimo tempo, sulle gomme da usare e altre scelte tecniche. Ma i test fatti e la fiducia tra di noi, alla fine ci ha fatto prendere le giuste decisioni in un'ora massimo.

- Ad esempio?
- Ad esempio la Prevot ha corso con delle gomme da fango, ma noi avevamo visto che su quel percorso, anche se bagnato, le gomme da fango non andavano bene. E così è stato...

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- A Tokyo hai curato tu la bici di Jolanda Neff?
- Sì, di Jolanda e di Sina (Frei, ndr).

- Qualche chicca sul setup, aneddoti... Raccontaci!
- Posso dirvi che con Jolanda ho lottato fino all'ultimo minuto, voleva a tutti i costi le gomme da fango per avere grip in salita, non sentiva ragioni. Ma non sarebbe stata la scelta giusta, perché con più tassello, su quel percorso avrebbe perso in discesa, ovvero il suo punto forte. Alla fine ho dovuto impormi e dire: corri così, punto e basta.

Nicolas Jeantet
Anche se ora ha un ruolo diverso, Nicolas resta un grande amante della tecnica e delle evoluzioni sulle bici

- A proposito di tecnica, è questo l'altro “segreto” della Svizzera?
- Assolutamente sì, ma nulla viene per caso. Da sei anni a questa parte, gli atleti lavorano sulla tecnica insieme ad Oscar Saiz, ex downhiller spagnolo e ora istruttore di guida. Fanno dei mini ritiri durante l'anno lavorando solo sulla tecnica e questo nell'Xc moderno fa la differenza.

- Si è discusso tanto sul salto “al limite” di Jolanda Neff, quando ha superato Pauline Ferrand-Prevot. L'ha salvata solo la tecnica o anche la scelta dei componenti/setup?
- Il telescopico soprattutto: c'è ancora chi lo odia, ma attualmente nel cross country è indispensabile. Anche l'inserto nelle gomme ha aiutato, perché Jolanda girava a 14 psi (circa 0.9 bar, ndr), senza inserto probabilmente avrebbe tagliato o stallonato. Poi vabbè, la sua tecnica ha fatto il resto...

- E le sospensioni?
- Si è lavorato, ma si può fare molto di più. Quasi tutti i team Xc lavorano ancora con setup molto standard, magari si usano oli diversi, c'è attenzione alla scorrevolezza, ma quasi nessuno ha un “vero” tecnico delle sospensioni al proprio fianco, in grado di aprire una forcella e lavorare sull'idraulica, piuttosto che sui token. E i meccanici degli atleti sponsorizzati da Fox, piuttosto che da RockShox, hanno ancora di più le mani legate... Paradossalmente, da questo punto di vista gli amatori sono avanti.

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Il sorpasso di Jolanda Neff su Pauline Ferrand-Prevot alle Olimpiadi di Tokyo

- Siamo in un periodo di transizione, parlando di tecnica della bici. Secondo te, la Mtb da Xc dovrebbe avere poca escursione (tipo la Supercaliber di Jolanda) oppure tanta escursione (tipo la nuova Spark di Nino)?
- Molto dipende anche dal lato commerciale, gli atleti corrono con la bici che vuole spingere il marchio. Guardando al futuro dell'Xc, vedo molto più potenziale sulla nuova Scott Spark, anche perché la Trek Supercaliber ha meno travel, ma non è più leggera delle altre. Quindi, a parità di peso, meglio avere più escursione e geometrie più spinte. A mio avviso, il futuro sarà improntato più sul piacere di guida, che sul peso...

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- Ci sarà la famosa divisione tra bici da Xc e bici da Marathon?
- Non ho molta esperienza nelle marathon, perché Swiss Cycling segue solo le discipline olimpiche, le altre non sono supportate. Ma per logica sì, dovrebbe esserci la differenza tra le bici, sono due discipline sempre più diverse tra di loro. Anche se in realtà, dai test che facciamo abbiamo visto che alcune cose non cambiano né da una parte, né dall'altra...

Nicolas Jeantet
Uno scatto rubato durante il mondiale elite: Nicolas portava le borracce per gli atleti ai box

- C'entra qualcosa il fattore “peso”?
- Anche. Il peso influisce, ma non quanto la prestazione o la scorrevolezza di un materiale che magari pesa di più, però va meglio. E qui non c'entra la tecnicità del percorso, i rock garden e così via, certe cose vanno meglio anche sull'asfalto, dati dei test alla mano.

- Ad esempio?
- Ad esempio la pressione delle gomme: ormai è sfatato il mito che più le gonfi e più scorrono, anzi si è visto che con il giusto abbinamento canale/copertone vale il contrario. Ma non tutti lo capiscono subito. In generale, togliere delle convinzioni della testa degli atleti è complicato, ci vuole del tempo. Oppure devono sbatterci la testa da soli...

- Come il reggisella telescopico per Nino?
- Esatto. Sapete quando ha capito che era il momento di montarlo? Dopo il test event di Tokyo nel 2019. Ha provato il percorso, poi ha detto a Yanick: «Abbiamo un telescopico da provare?». E Yanick:«Non l'hai mai voluto, quindi no, non ce l'abbiamo». Quando è tornato a casa lo ha montato e adesso non lo toglie più.

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Sull'autore
Daniele Concordia

Mi piacciono il cross country e le marathon, specialità per le quali ho un'esperienza decennale. Ho avuto un passato agonistico sin da giovanissimo, ho una laurea in scienze motorie e altri trascorsi professionali nell’ambito editoriale della bici.

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