Da rider a coach: i consigli e l'esperienza di Andrea Bruno

Silvia Marcozzi
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Andrea Bruno è stato un protagonista fino a pochi anni fa della scena gravity a livello nazionale.
Prima con la downhill e poi con l'allora nascente enduro.
Per comprendere l'importanza della sua trasformazione da rider a coach vi raccontiamo in breve chi è e da quale background proviene.
Il suo percorso sportivo inizia da piccolo con la BMX. Passa poi alla Downhill e al 4X negli anni tra il 2002 e il 2010, con buoni risultati a livello italiano che lo portano a far parte della nazionale. 

Dopo la nascita dei gemelli Thomas e Rebecca, si dedica all’enduro, dove ottiene i suoi risultati migliori. Nel 2011 è lui a conquistare il primo titolo di campione italiano Enduro FCI della storia. 

Nel suo palmarès anche due circuiti Superenduro e un terzo posto al Trofeo delle Nazioni del 2012, oltre a tante partecipazioni a competizioni di alto livello fino al primo anno del circuito EWS. 

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Andrea Bruno nel 2013 con la sua Transition Covert



Da rider a coach del Team Tribe Hotbikes

Nel 2010 fonda Tribe Distribution, azienda che distribuisce in Italia le bici di marchi come lo storico Transition Bikes, ma anche Superior Bikes e Flyer Bikes, insieme ad un buon numero di brand accessori. 
Dopo aver ridotto il suo impegno agonistico, Bruno si è dedicato all’allenamento dei giovanissimi ed in particolare dei figli Thomas e Rebecca. 
I gemelli Bruno sembrano avere infatti ereditato l’attitudine del padre e con grande determinazione hanno conquistato nel 2023 i titoli di campioni italiani  nelle rispettive categorie sia nella DH che nell’enduro. 

- Proviamo a partire dall’inizio. Quando è cominciata l’avventura da rider a coach? 
- Tutto è iniziato con i miei figli. Li portavo per boschi, su strade semplici dove potevano prendere confidenza con la discesa e imparare a frenare, senza doversi complicare la vita con curve, cambi di pendenza e altri ostacoli. 

Sin da piccoli li ho fatti giocare, sviluppare l’equilibrio con le push bike, poi guidare la bicicletta con gimkane, saltini nel cortile di casa e discese nei boschi. Poca fatica e tanto divertimento insomma.

Thomas si è dimostrato da subito interessato. A 5 anni ha mosso i primi passi in bike park e dopo una breve parentesi in cui ha scelto il calcio ha ripreso con ancora più passione. Rebecca ci ha messo più tempo, ma quando si è unita anche lei abbiamo iniziato a frequentare di più i bike park.

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Una foto di qualche anno fa di Andrea Bruno con i figli gemelli Thomas e Rebecca

È in quel momento che hanno iniziato ad aggregarsi altri bambini e bambine figli di amici ed è nato il gruppo dei Miniriders. Ho capito subito che per i bambini era fondamentale creare un ambiente sociale, perché vedessero nella bicicletta non un fine ma un mezzo per stare con i loro amici e divertirsi.

- Com’è nato il progetto del team Tribe Hotbikes? 
- I miei figli si sono appassionati ed hanno partecipato alle prime garette. Li vedevo entusiasti, motivati e determinati. Il gruppo cresceva e ho iniziato a chiedermi come portarlo avanti.

Il team Tribe Hot Bikes è un’idea che è cresciuta con loro, per accompagnarli verso le gare vere. Ho continuato a coltivare il gruppo, che è arrivato così ad avere tra le sue fila ragazzi che sono oggi tra i migliori atleti nazionali. 

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Andrea Bruno e i ragazzi del team Tribe Hot Bikes in palestra.

- Quanti ragazzi conta e di quali età? Dove fate base per gli allenamenti?
- Oggi il gruppo conta all’incirca una quindicina di elementi dai 6 ai 17 anni, tra cui cinque ragazze davvero toste. Il team è un po’ una grande famiglia. Siamo tutti o quasi camperisti e giriamo molto ma la base è il Monte Alpet Bike Village a San Giacomo di Roburent.

E’ stato il primo bike park della provincia di Cuneo, nato nel 2012. Ho avuto il piacere di tracciarne la prima pista, la Jim Morrison, ancora oggi attuale e divertente. Non ci sono tracce molto rotte o super tecniche, ma è uno dei migliori posti che conosca per imparare ad essere fluidi, gestire la velocità e fare percorrenza di curva. Esattamente ciò su cui mi concentro nel lavoro con i ragazzi insomma.

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Un momento di gara a Prali.

- A quali gare partecipate?
- Avendo iscritti di età diverse abbiamo diversi programmi, non troppo strutturati. A queste età i ragazzi devono fare ciò che si sentono di fare.
I più piccoli partecipano a manifestazioni a loro dedicate e alle ION Cup, una manna dal cielo per i più piccoli, che diversamente non avrebbero opportunità per gareggiare se non andando in Francia.

Dalla categoria Esordienti in avanti il programma è focalizzato sulla Coppa Italia Downhill e su qualche gara di enduro. 
Credo che la Downhill sia la scuola migliore per chi ama le discipline gravity, per poi, crescendo, orientarsi su una delle due in base alle proprie preferenze e qualità.

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Per i più bravi guardiamo anche alla Coppa di Francia, che è un bel banco di prova con tantissimi rider veloci, e alle IXS Rookie Cup o European Cup. 
Partecipare a questi eventi è impegnativo, ma sono esperienze uniche e formative, al di là del mero agonismo.

- Nella tua esperienza come si avvicinano i ragazzi alla Mtb? E quali devono essere i primi passi per chi inizia da giovanissimo?
- Nel nostro sport, in particolare per le discipline gravity, è quasi sempre la famiglia che li instrada, anche perchè purtroppo non è uno sport che i ragazzi possono praticare senza un supporto.
Alcuni arrivano dal cross country, altri dal Bmx, mentre alcuni partono direttamente in bike park.

La mia esperienza mi dice che devono imparare bene sul facile e poi aggiungere ingredienti. Quando vedo i papà che portano i ragazzi su percorsi tecnici, senza flow, dove fanno fatica a scendere, solo per il gusto di dire che il figlio è sceso in un posto impervio, oggi so che stanno sbagliando. 
La priorità è coltivare la fluidità e la leggerezza nella guida perché questo permetterà loro di progredire poi su terreni accidentati molto più velocemente e in sicurezza. 

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È importante che i bambini si sentano sempre sicuri e in controllo quando sono in bici. Solo così si potrà passare progressivamente ad affrontare percorsi più ostici.

Oggi ho maturato un’idea chiara di quale sia il percorso migliore, e per questo sto lavorando a dei camp da proporre ai ragazzi ma anche ai genitori basati sulla mia esperienza diretta. Quando i miei ragazzi non avranno più bisogno di me Tribe Hot Bikes diventerà una academy per coltivare giovani talenti.

Per me insegnare ad andare in bici è innanzitutto un’occasione per educare, trasmettere valori, alimentare l’ambizione dei ragazzi e stimolarli a lavorare per un sogno, un obiettivo. 

Non importa nessuno di loro diventerà un campione, ma ci basterà aver cresciuto dei ragazzi onesti, leali e volenterosi. Condividere questi principi è il vero requisito per entrare a far parte del Team Tribe Hot Bikes.

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Insegnare ad andare in bici è prima di ogni altra cosa un'occasione per educare i ragazzi. Ecco perché è importante a chi ci si affida.

- Che ruolo gioca l’agonismo nel team? Per i ragazzi che non hanno interesse per l’agonismo quindi c’è comunque spazio nel gruppo.
- L’agonismo può essere un mezzo per stimolare la nostra energia positiva e la nostra ambizione, ma non è necessario e non è per tutti. 
Per chi lo sente è un carburante molto potente, che non alimenta solo lo sport ma il nostro atteggiamento verso la vita in generale. 
È un modo per non sedersi, per cercare sempre un buon motivo per svegliarsi la mattina e impegnarsi in quello che si fa, quindi per alcuni è una grande spinta. 



Per altri invece può rappresentare un vero problema, fonte di ansie, delusioni, senso di fallimento. 
In questo caso è importante aiutare chi non è tagliato per l’agonismo a capire che è solo uno dei modi in cui si può praticare e godere di questo fantastico sport. 
Non è scritto da nessuna parte che si debba gareggiare. Quello che conta è cercare la dimensione che ci fa stare bene. 

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Anche se il gruppo è in buona parte composto da ragazzi e ragazze che vivono positivamente l’agonismo, abbiamo anche diversi ragazzi che non sono a loro agio con le competizioni.
Come gruppo facciamo anche tante uscite per divertirci e basta.

- Veniamo ai tuoi ragazzi: qual è stato il percorso di Thomas e Rebecca per arrivare allo straordinario risultato dell’ultima stagione, conquistare i titoli nazionali come esordienti sia nell’Enduro che nella DH? 
- Sono molto orgoglioso di loro, non lo nascondo, non tanto per quello che hanno raggiunto, che è un piccolo (grande) traguardo, ma soprattutto perché vedo che sono focalizzati su quello che resta da fare piuttosto che su quello che hanno fatto. Certo hanno realizzato qualcosa di speciale.

Non so dove questo li porterà da un punto di vista sportivo, ci sono tantissimi ragazzi bravi e i conti si fanno alla fine. Vincere da giovanissimi non è per nulla garanzia di successo. 
Ma so che comunque vada questo esercizio li forma come persone e questa mentalità sarà parte di loro per sempre.

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Una bella immagine dei fratelli Bruno con le maglie di campioni italiani enduro conquistate lo scorso luglio a La Thuile, a cui hanno fatto seguito i titoli nazionali nella DH il mese successivo.

Sono stati supportati, ma si sono sempre potuti sentire liberi di decidere. Si tratta di fare piccoli passi, con un lavoro lento ma costante, basato sempre sul fare le cose per il piacere di farle. 
Io ho fatto del mio meglio per essere un buon papà e un buon coach, e credo che loro ne abbiamo saputo approfittare al meglio finora.

- Su cosa ti focalizzi principalmente dal punto di vista tecnico nell’insegnamento della Mtb ai giovanissimi? E come li si appassiona in modo duraturo?
- Da un punto di vista tecnico, in estrema sintesi insegno ad andare piano e guidare bene.
Se guidi bene sei sicuro, non hai ansie inutili, sei sereno quando sei sulla bici, quindi sei rilassato, quindi morbido e alla fine… veloce, o almeno quanto più veloce puoi essere con il tuo livello tecnico.

Non serve cercare la velocità, serve cercare l’armonia e la velocità sarà una conseguenza.
Non bisogna forzare le cose e rischiare di farsi male. Bisogna essere in controllo e avere sempre un margine di sicurezza. Solo così si limiteranno i rischi e la guida sarà decisa, sicura, risoluta.

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Nonostante l'evoluzione da rider a coach Andrea Bruno non ha abbandonato le gare, dove ha ancora da dire la sua.

Ultima cosa che insegno è che non c’è nulla per cui valga la pena prendersi un rischio non calcolato.
Perché si appassionino è sempre importante rispettare i loro tempi e i loro desideri, fare in modo che non si sentano mai forzati.
Mia figlia Rebecca ad esempio, che oggi gareggia nell’enduro e fa anche 100 km su strada, non ha voluto saperne di pedalare fino a poco tempo fa. Ora è qualcosa che sceglie per se stessa e per i suoi obiettivi.

- Qual è la progressione del lavoro che fanno una volta che entrano a far parte della squadra? In cosa consiste principalmente l’allenamento per un giovanissimo?
- Soprattutto con i più piccoli ogni bambino nel nostro gruppo è seguito da un genitore. Noi ci muoviamo così. 
Non importa che il genitore sia un campione, basta che possa scendere e stargli vicino, per una questione di responsabilità e sicurezza. 
Per questo cerco di dare ai papà un consiglio su cosa concentrarsi e cosa tenere d’occhio.

Ci sono alcuni fondamentali che vanno scolpiti nel bambino come un’incisione nella pietra: pochi e semplici, ma indelebili. 
Su questo si potrà costruire tutto il resto. Qualche genitore mi ascolta, altri no. Mi spendo (tra l’altro gratuitamente) per chi ha voglia di ascoltare.

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Prima di aggiungere elementi tecnici è importante che i bambini consolidino i fondamentali e si sentano completamente a loro agio in sella.

Solo dopo avere davvero consolidato le basi si può cominciare ad inserire qualche “upgrade”, come affrontare passaggi più tecnici o andare via via più veloci, ma sempre rispettando le sensazioni del bambino.  
Deve capire che è lui che comanda e che in ogni momento può decidere di fermarsi o che strada prendere. Urlare al bambino “molla ‘sti freni” non serve a nulla, se non a terrorizzarlo e fargli passare la voglia. 
Sembra ovvio, ma credetemi, sento cose del genere ogni anno.

- Quali sono gli aspetti su cui si lavora di più in base alle differenti età?
- Il mio metodo persegue alcuni obiettivi in un ordine preciso: costruzione di fondamentali solidi, fluidità, superamento di ostacoli tecnici, ricerca della velocità e infine aumento dell’intensità.

Non vi è un’età specifica per i vari step, ma certo l’intensità è una fase propria di un atleta che anche fisicamente inizia ad essere sviluppato. Mentre la velocità oggi è un qualcosa che già a 13-14 anni molti ragazzi possono cercare perché hanno basi solide.

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Sono cinque le ragazze in squadra nel team Tribe Hot Bikes, un grande orgoglio per Andrea Bruno. «Quando indossano il casco si trasformano. Sono davvero toste»

- C’è chi crede che le competizioni quando si è troppo giovani possano essere quasi controproducenti. I ragazzi oggi arrivano a diventare élite già spremuti o, peggio, infortunati. Come si riesce ad evitarlo?
- Certo è che se uno gareggia lo deve fare per se stesso. I genitori devono supportare e non interferire troppo. Non si può fare di un ragazzo/a che vuole semplicemente divertirsi un vero corridore e viceversa. 
Se una persona fa quello che si sente e lo fa per se stesso non c’è rischio che si stressi o si bruci.

Il nostro compito è comprenderli e aiutarli, e non sto dicendo che sia facile.
Per quanto riguarda gli infortuni l’atteggiamento giusto può limitare i rischi. Purtroppo eliminarli non è possibile, ci vuole anche un po’ di fortuna.

- Spesso si accusano i ragazzini oggi di essere pigri e di scoraggiarsi facilmente di fronte alle difficoltà. Tu che esperienza hai con la tua squadra? 
- Lo sport serve a mettere le persone davanti alle proprie debolezze e regalare ad ognuno le sue vittorie. Mi ha colpito quello che ho letto in un libro sulla differenza tra vincere e primeggiare. 
Primeggiare significa essere il migliore in un certo momento, luogo e occasione, per cui uno solo primeggia. 
Ma nello stesso momento possono invece essere molti a vincere.
Vincere superando le proprie paure, vincere migliorando la propria performance, vincere superando un passaggio impegnativo. 

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«Lo sport serve a mettere le persone davanti alle proprie debolezze». Imparare ad affrontarle e a farci i conti significa vincere al di là di qualunque risultato sportivo.

Non tutti hanno il carattere di mettersi alla prova, di cercare le proprie vittorie.
Molti, concordo, vorrebbero primeggiare ma non sono disposti a lavorare per riuscirci, e non sanno trovare un percorso fatto di piccole vittorie e perseverare. 
Vorrebbero tutto subito e facile: glielo insegna la nostra società, non è colpa loro. Semmai noi genitori ed educatori (mi permetto di usare questo termine) dobbiamo provare a insegnarglielo.

In ogni squadra, come in tutto il mondo, ci sono caratteri e teste molto diverse, è un dato di fatto. 
Qualcuno ha la testa da campione, da leader, da protagonista del proprio percorso. Altri preferiscono adagiarsi e prendere quello che viene. 

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All'ultimo campionato italiano di Prali, oltre ai gemelli, anche il papà Andrea si è aggiudicato il titolo di categoria (M4). Come si dice, buon sangue non mente.

La cosa che cerco di trasmettergli è che non c’è giusto o sbagliato, a patto di essere onesti con se stessi. 
Ai primi dico quindi di non accontentarsi e trovare la motivazione di allenarsi oggi per un obiettivo che sembra lontano ma non lo è, e che il tempo non torna indietro. 

Ai secondi che non devono stupirsi e deludersi se non ottengono i risultati che vorrebbero, perché bisogna ricordarsi di volerli quando è ora di fare sacrifici, non solo quando chiamano qualcun altro sul podio e vorresti esserci tu. 
Quindi devono godersi le belle emozioni senza inquinarle con continue delusioni perché forse il loro piacere non è puntare al podio ma più semplicemente praticare.

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Comprendere l'attitudine dei ragazzi, che siano orientati alla competizione o meno, è fondamentale perché possano godere al massimo l'esperienza sportiva senza "inquinarla" con delusioni o false aspettative.

- Cosa significa educare i ragazzi allo sport? E l’agonismo cosa aggiunge a questa educazione?
- Dal punto di vista umano ci tengo ad insegnare ai ragazzi ad essere onesti: non ricordarsi che bisognava allenarsi una volta al cancello di partenza, non trovare scuse e non pensare che gli altri siano più fortunati. Normalmente raccogliamo quello che seminiamo, dunque facciamo il massimo e non avremo rimorsi.

Penso che educare allo sport fondamentalmente significhi insegnare a lavorare per i propri obiettivi, a non risparmiarsi, ad essere contenti di quello che si ottiene se si è sereni e consapevoli di aver fatto del proprio meglio.

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La famiglia Bruno al completo. Anche la mamma, dietro le quinte, contribuisce a rendere possibile il sogno dei fratelli Bruno. Come sottolinea il papà coach Andrea il supporto della famiglia in questo sport è infatti determinante.

L’agonismo aggiunge la componente “resto del mondo”: tu puoi dire, pensare, fare quello che vuoi ma la cruda realtà è che tutto è messo in prospettiva dagli altri.
Tu puoi pensare di allenarti abbastanza, di essere bravo eccetera, ma poi sarà il resto del mondo che ti mette davvero dove puoi stare.
Per questo mediamente più sali di livello più i rider sono modesti, con un basso profilo e i piedi per terra: sanno che nel mondo ci sono tanti bravi più o almeno quanto loro.

- Cosa pensi che potrebbe aiutare ad avvicinare più ragazzi al mondo della Mtb? Strutture, società sportive, programmi scolastici, altro? 
- Sicuramente ci vogliono prima di tutto persone che abbiano una grande passione. Dedicare il proprio tempo a queste attività non è scontato. Io lo faccio anche perché ci sono i miei figli, sono sincero.
Ci vogliono famiglie che abbiano voglia di sacrificare il loro tempo e anche questo non è da tutti.
Il nostro sport è più complicato da gestire rispetto ad altri: bisogna spostarsi, caricare le bici, poi sistemarle, lavarle, occuparsi della manutenzione ecc.

Il mio consiglio a chi vuole farlo è: affidatevi a persone competenti, investite sulle cose importanti.
Date una priorità agli investimenti. Assicuratevi che i ragazzi abbiano un mezzo in ordine anche senza componenti blasonati, che apprendano i trucchi della guida da una buona scuola. 
Diffidate da coach e istruttori autorefenziati che proliferano nell’era dei social network. Per insegnare bisogna saper fare e spiegare come si fa, non solo parlare.

Potete seguire le attività del team Tribe Hot Bikes sul loro profilo Instragram e sulla pagina Facebook.

Se vi interessa l'argomento del ciclismo giovanile fatecelo sapere nei commenti e date un'occhiata all'articolo qui sotto su un'altra bella realtà che sta investendo sui ragazzi.

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Sull'autore
Silvia Marcozzi

Vivo da sempre in equilibrio tra l’amore per lo studio e le parole - ho due lauree in lettere e un dottorato in lingue - e il bisogno di vivere e fare sport all’aperto. Mi sono occupata a lungo di libri e di eventi. Dieci anni fa sono salita su una bici da corsa e non sono più scesa, divertendomi ogni tanto a correre qualche granfondo. Da poco ho scoperto il vasto mondo dell’off-road, dal gravel alla Mtb passando per le e-Mtb, e ho definitivamente capito che la mia sarà sempre più una vita a pedali.

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