One of Many è una nuova serie di storie sulla Mtb realizzate per raccontare le emozioni che ognuno di noi ha modo di sperimentare sui propri sentieri. Ognuno ha le sue storie e Sram ne propone una raccontata in modo coinvolgente da Seb Kemp e tradotta dalla redazione. Siamo in British Columbia e due tizi hanno un progetto niente male...
SL
Della Creek, Lillooet, Bc, fine giugno.
Una nube di fumo getta un velo nebbioso attraverso il sole alto di mezzogiorno, l’aria intorbidita dagli odori di legno bruciato portati dal vento e la distorsione del caldo estivo che sale dalla terra arida.
Quassù, fra la terra bruciata, dove il fico d’india, la salvia e il ginepro scarsamente popolano il paesaggio, gli unici rumori che arrivano sono quelli delle cavallette e degli elicotteri che scaricano acqua sopra le fiamme.
Molto più in basso, appollaiati sulle rive che sovrastano il fiume Fraser, ci sono ranch che coltivano cibo.
Tutto è un po' più calmo da dove mi trovo, qui al sentiero di Della Creek. Almeno per un attimo.
Il campo è stato sistemato, le tende erette, i materassini srotolati, le sedie aperte, i thermos refrigeranti all’ombra, barbeque piazzati alla meglio e macchine del caffè pronte.
Proprio un bel campeggio: da una parte c’è il nido di un corvo con una vista panoramica e dall’altra un rifugio dal caldo estenuante di questa estate.
Ci siamo concessi un giorno e mezzo di svago, divertimento e vita da campeggio. Niente telefono, niente internet, niente lavoro, niente impegni, nessun senso di colpa e nessun errore. Solo mangiare per soddisfare l’appetito, bere quando si ha sete e poi dormire quando le batterie hanno bisogno di essere ricaricate, sia di mattina, di giorno o di notte.
L’unica certezza è che siamo per affrontare il sentiero dal campeggio fino al fondovalle tutte le volte necessarie. Quando ripartiremo saremo più snelli, saremo le forme ridotte all’osso di noi stessi che mostrano una patina lucidata dell’andare in bici a manetta sui sentieri di Della Creek.
Questa volta siamo io e Kenny, ma in altre occasioni ci sono state anche altre persone. E non importano i nomi o i numeri, perché è sempre la stessa cosa: l’inseguimento, gli spintoni e il rat-a-tat-tat della canizza.
Ogni giro su questo sentieri ci ha visto inseguirci l’uno l’altro, in formazione super compatta. Lui attacca e io rispondo ed entrambi battagliamo per tenere o prendere la posizione.
Lo vedo prendere una traiettoria larga, così mi tuffo dentro dandogli un assaggio della mia gomma anteriore, ma lui riesce a tenere meglio la velocità e starsene davanti. Gli strillo. Lui mi sente. Sa che ero vicino questa volta. Lui salta, io schiaccio, lui schiaccia e io salto.
Mette fuori un piede, la sua ruota posteriore si blocca e alza l’inferno.
Mi sono impostato largo e taglio presto la curva, combatto con tutto me stesso per aver trazione, spingendo forte sulle gomme.
Per un attimo siamo fianco a fianco, ma la curva sta per chiudere e c’è spazio solo per uno. Questa volta il pollo sono io. Lui ridacchia e a me viene da urlare di nuovo.
Guardo le sue linee, linee che non avrei mai preso o immaginato, ma adesso provo a seguire alcune delle sue. Sto testando me stesso, rompendo le abitudini, scoprendo un sentiero diverso stando vicino alla ruota di Kenny.
In altre occasioni seguirò il suo approccio, ma adesso scelgo di fare in modo diverso: quando lui va sulle traiettorie più dritte e veloci, io sceglierò quelle più divertenti. Oppure quando lui taglierà le curve cercando le derapate, io sceglierò la linea più pulita e regolare. Oppure quando lui pedala, io alzo il manubrio per cercare un manual.
E’ come se il jazz prendesse il posto dell’heavy metal.
Della Creek è dura, veloce, morbida e rilassata. Il naso è sempre puntato verso il basso e la velocità viene facile. Ma voglio di più.
Così lascio un po’ di più i freni avvicinandomi al vortice di terra che le ruote di Kenny sollevano. Se mi allontano il sentiero diventa invisibile.
Devo tenermi in questa posizione perfetta, circa un metro o due fra la mia ruota anteriore e la sua ruota posteriore che, a 40 all’ora sembrano pochi centimetri.
Se tocco il freno, perdo il suo ritmo e il trail diventa invisibile.
Ma se sono abbastanza vicino da evitare la sua nube di polvere, il sentiero scompare comunque perché tutto quello che riesco a vedere è il suo copertone che gira veloce e il suo sedere. Tutto il resto è oscurato alla vista.
A questa distanza ravvicinata devo fidarmi delle sue reazioni e del suo modo di leggere il sentiero. Ovvero che frenerà con delicatezza e che non andrà dritto alle curve… Quindi studio i movimenti del suo corpo per avere un’idea di ciò che c’è davanti. Interpreto Kenny che interpreta il sentiero. La fiducia nelle abilità di chi sta davanti è cruciale.
Seguire un rider più lento potrebbe sembrare più sicuro, ma i loro movimenti e le loro linee spesso sono sbagliate e conducono a disastri. Ma un rider più bravo, come Kenny, cerca sempre velocità crescenti, più adrenalina e ciò pone rischi diversi, perché devo stare dietro al suo passo. Altrimenti non saprò leggere le “scritte” che lascia sul sentiero.
Quindi le mie possibilità sono stare alla destra della sua ruota posteriore o 15 metri dietro di lui. E 15 metri dietro di lui non è divertente. E’ come guidare da solo. Poi, certo, a fine discesa i sorrisi ci sono lo stesso, ma è mancata la canizza.
Non è una competizione. Non si tratta di chi arriva prima in fondo, è solo il desiderio di essere compagni di velocità. Piegati in avanti, come un gatto pronto a balzare. Ricercare la linea che ti fa guadagnare velocità, come piloti di caccia sul filo del rasoio.
Questa canizza in discesa deve essere fatta in modo appropriato. Non c’è alcun margine per l’errore, specialmente quando stai spingendo a tutta sul sentiero a pochi centimetri l’uno dall’altro.
“Dopo di te”
“No, dopo di te”
Così comincia ogni duello.
Foto Adrian Marcoux
Testo Seb Kemp
E a voi piace di più uscire da soli oppure in compagnia?
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Redazione MtbCult
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