Roberto Vernassa: "La Dh tiene. Eccome..."

Giuseppe Scordo
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Roberto Vernassa è dall’inizio del 2014 il nuovo commissario tecnico della Dh. Fino all’anno scorso questa figura non era prevista dai quadri federali e Vernassa era collaboratore tecnico. Da gennaio le cose sono cambiate e il movimento sta mostrando una certa vitalità che fa ben sperare per il futuro. Giovani, tecnica, bmx, Federazione, bike park, enduro: ecco gli argomenti affrontati in questa lunga conversazione con il cittì della nazionale.

- Facciamo innanzitutto una fotografia attuale della Dh italiana.
- Il momento è indubbiamente positivo. La Dh sta avendo un grande seguito e lo dimostra il numero di partecipanti che hanno aderito alle due manifestazioni Gravitalia sin qui svolte. Ci sono stati più di 300 iscritti per ognuna delle gare e bisogna considerare anche il cattivo tempo di Caldirola. Il dato confortante riguarda i giovani. Sono in aumento rispetto agli anni precedenti, specie nelle categorie esordienti, allievi e juniores. Ciò è sintomatico della direzione intrapresa dal nostro sport.

Roberto Vernassa, dopo aver ricoperto l'incarico di collaboratore tecnico, da gennaio è il nuovo cittì della downhill azzurra.

Roberto Vernassa, dopo aver ricoperto l'incarico di collaboratore tecnico, da gennaio è il nuovo cittì della downhill azzurra.

- Ci sono giovani valorosi e dalle grandi prospettive ma anche parecchi veterani.
- Forse a mancare è la via di mezzo, atleti di 26-27 anni. Anche la Dh ha chiaramente i suoi cicli. Abbiamo avuto discesisti di altissimo livello e adesso giovani dalle grandi capacità tecniche. Una spiegazione a quello che sta accadendo forse c’è. Innanzitutto serve sempre qualche nome che possa trascinare i coetanei e alzare il livello, esattamente quello che sta avvenendo con gli under 23. L’altro fattore è che, Suding escluso, i vari Bugnone, Gambirasio, Cozzi non hanno avuto la possibilità di essere professionisti e hanno dovuto cercarsi un lavoro, togliendo tempo agli allenamenti. Per un ragazzo che invece frequenta ancora le scuole o l’università può essere più facile e redditizia la pratica della disciplina.

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Vernassa con Lorenzo Suding, quest'anno passato al Team Norco International.

- L’inizio di stagione, da questo punto di vista, è stato emblematico.
- Abbiamo diversi giovani su cui lavorare. E a quelli già noti se ne sono aggiunti altri. Abbiamo Simone Medici che è partito fortissimo aggiudicandosi le due prove del Gravitalia. Abbiamo Loris Revelli e Mario Milani, quest’ultimo bravissimo nella prima tappa della Coppa Europa a Maribor (15°, ndr). Ci aspettiamo tanto anche da Gianluca Vernassa, Francesco Colombo e Alia Marcellini. Per loro è un po’ un anno di transizione perché rappresenta il passaggio tra gli elite. Non dobbiamo aspettarci risultati eclatanti, devono solo fare esperienza internazionale, aggiungendola a quella che hanno già fatta, e strappare le qualificazioni alle manche finali. Una menzione la voglio fare anche per Suding. Lorenzo è ormai stabilmente nella top 20 e quest’anno lo vedo molto determinato. Con il passaggio al Team Norco, deve pensare solo ad allenarsi e può definitivamente trovare la sua dimensione.

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Simone Medici, rivelazione di questo inizio di stagione. Ha già vinto a Caldirola e a Sestola.

- La base tecnica degli italiani è meno evoluta di quella degli stranieri?
- Non credo che ai nostri manchi la tecnica. Il livello è alto, i giovani che stanno emergendo sono preparati e stanno accumulando esperienza internazionale, abituandosi ai tracciati moderni fatti di grandi salti, passaggi tecnici, alte velocità. Non hanno molto da imparare dagli altri, a mio avviso. Il problema semmai è un altro…

- Cioè?
- Quello che manca è la mentalità vincente, la determinazione a raggiungere il risultato a tutti i costi. Secondo me paghiamo anche il fatto di non avere molti atleti nella parte alta del ranking. Partecipiamo alle gare quasi con sudditanza psicologica, con un po’ di paura rispetto alle altre Nazioni. Servirebbe qualcuno vincente che trascinasse il resto della truppa. Certo, per avere la tecnica è sempre più importante lavorare alla base.

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Per Mario Milani un convincente esordio nell'iXS Downhill Cup. A Maribor si è ben districato tra i big europei, raccogliendo un 15° posto.

- E qui forse arrivano le note dolenti.
- Chi ha difficoltà tecniche è perché non le ha sviluppate da bambino. La base per imparare a guidare la Mtb è la bmx. E si deve iniziare a 6-7 anni. A 15-16 è troppo tardi. La bmx, ma anche il Pump Track, le cui piste sono più semplici da realizzare, sono importanti perché insegnano ad andare in bicicletta, la fluidità d’azione, la frenata, il salto, la piega in curva, il colpo d’occhio. Nozioni che poi si possono sfruttare in tutte le discipline.

- La Federazione Ciclistica Italiana come risponde a queste esigenze?
- La Fci si sta adoperando per cercare di cambiare la mentalità, attraverso le scuole di Mtb e il Centro Studi. Si tratta di un processo lungo, ma la direzione è quella giusta. Adesso c’è la consapevolezza in tutti i tecnici che non si può prescindere dalla bmx.

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La Bmx è la disciplina che insegna a guidare la Mtb. Ma in Italia...

- Nico Vouilloz ancora oggi si allena in bmx. Per gli italiani è più difficile.
- Praticarla in Italia non è semplicissimo. Purtroppo, la realizzazione delle piste è onerosa e non sono molte le società disposte a trasformare le parole in fatti. Anche perché non basta solo costruire le piste e creare il movimento. Bisogna poi gestirle e non tutti sono preparati dal punto di vista didattico. Si deve crescere, ma ci sono realtà in Veneto e Lombardia già all’avanguardia.

- In confronto alla Francia, l’Italia ha pochi bike park. Questa lacuna può limitare la popolarità della Dh?
- Di certo diminuisce la facilità di praticarla. Ma anche in questo caso per cambiare le cose serve un cambio di mentalità. La Dh è ancora vista come uno sport estremo, pericoloso. E poi all’estero i bike park sono nati in maniera diversa, con altri scopi e altri investimenti. In Francia, Svizzera, Germania sono state le grandi località turistiche a mettere sul campo ingenti risorse economiche, pensando all’importanza della bicicletta come veicolo turistico. In questo modo sono stati realizzati bike park di qualità. Penso a colossi come Morzine, Les Deux Alpes, Verbier. In Italia spesso il bike park è legato a una piccola località che prova ad attirare i turisti con le risorse che ha mentre i grandi centri non hanno ritenuto utile questa potenzialità.

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Il Bike Park di Verbier, in Svizzera. Una struttura all'avanguardia per la pratica del gravity. Foto Ribordry.

- Che effetto sta avendo invece l’enduro sulla Dh?
- In un primo momento pensavo che ci potesse togliere spazio. Invece può accadere il contrario. E’ vero, l’enduro ci ha portato via qualche tesserato, specie della fascia d’età più elevata. E forse anche qualche sponsor, perché il mercato può abbracciare una fetta più ampia di praticanti. E’ la via di mezzo per chi crede che l’Xc sia per i fanatici dell’agonismo e che la Dh sia per gli incoscienti. L’enduro è più facile da praticare, è meno tecnico, si può fare da soli, non serve per forza avere un impianto o una navetta per risalire a monte. Ecco, l’ostacolo principale della Dh è, al massimo, proprio la sua pratica. Se fosse alla portata di tutti, avremmo più tesserati. Però…

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Le discese delle gare di enduro somigliano sempre di più alla downhill. E così molti giovani stanno capendo che praticare la Dh non è una cosa dell'altro mondo.

- Però?
- Non devo dirlo io che la Dh è la disciplina più spettacolare del fuoristrada. E l’evoluzione della Mtb è inevitabilmente legata alla Dh. Basti pensare a come sono cambiati negli anni gli impianti frenanti e le sospensioni. Qualche mese fa gli sviluppatori di Fox mi hanno detto: “Sviluppiamo le sospensioni con i top rider della discesa perché solo con la Dh si ha l’esasperazione del materiale che si sta testando”. E’ grazie a quella esasperazione che poi è possibile adattare i prodotti al cross country. L’enduro di oggi si avvicina molto alla Dh e negli ultimi mesi in tanti, specie i più giovani, stanno cambiando idea e si stanno avvicinando. I 380 rider di Sestola lo dimostrano. Aggiungo anche che con il Gravitalia sono stati fatti passi importanti dal punto di vista della professionalità organizzativa. Ecco perché ritengo che l’enduro può essere un alleato della Dh e non un nemico.

Insomma, se in un primo momento l'enduro e la downhill sembrano vicini, quasi prossime alla sfida, adesso sappiamo che sono due cose ben distinte. E discipline animate da attori diversi.

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