In occasione del terzo appuntamento del Superenduro a La Thuile, c'è stata l'opportunità di fare quattro chiacchiere con Enrico Guala, l'ideatore e organizzatore del circuito nonché speaker di ogni tappa.
L'intervista, raccolta da Franz Savona, è incentrata soprattutto sul presente e sul futuro dell'enduro in Italia, disciplina che pare stia vivendo una sorta di "seconda giovinezza".
- Enrico, domanda scontata: “Perché questa tappa, qui a La Thuile?”
- Perché, nell’arco di un campionato organizzato su cinque prove, cerchiamo la diversità, per offrire ai piloti “un’esperienza enduro” che sia la più completa possibile sotto ogni punto di vista, dalla guida all’accoglienza, dall’ambiente alla gastronomia. Ogni tappa è un’esperienza unica e tutte le tappe messe assieme compongono “l’esperienza del Superenduro”.
In più, La Thuile è una stazione con una grande vocazione per gli eventi sportivi, tanto che ha iniziato a fare mountain bike organizzando da subito l'Enduro World Series e, al secondo anno di organizzazione (2016, ndr), si è aggiudicata il titolo di migliore prova dell’EWS su 8 tappe.
- L’enduro in generale sta vivendo una seconda giovinezza. Cosa ha spinto i biker a riavvicinarsi a questa disciplina?
- L’enduro in termini di fruizione degli utenti non ha mai avuto grandi crisi. Semmai è andata in crisi la formula gara, anche perché c’è stato un momento in cui le gare erano inflazionate, certi organizzatori pensavano di cavalcare l’onda, col risultato però di abbassare il livello e la qualità degli eventi stessi.
Passata questa fase, c’è stata una selezione, alcuni di questi organizzatori hanno imparato, sono cresciuti, riportando la gente nei circuiti. Quando fai le cose bene, la gente ti premia e oggi ci sono tanti circuiti regionali di buon livello.
- Quali sono invece gli ingredienti che hanno decretato il successo del circuito Superenduro negli ultimi due anni, con partecipanti provenienti da mezza Europa e record di iscrizioni a ogni tappa?
- L'ingrediente fondamentale sono i sentieri, tutto parte da lì. È importante trovare i trail, ma anche una località che permetta un’esperienza completa per il rider, che non è solo il sentiero, ma i servizi, l’accoglienza, la cultura... E una grossa mano la danno gli organizzatori locali che mettono in campo qualità.
L’ultimo aspetto è che il Superenduro è un evento strutturato: oggi è un’organizzazione che conta 15 persone divise tra logistica, parte amministrativa, parte tecnica, con l’inserimento di Manuel Ducci e parte media.
- Nel 2008, se non sbaglio, nasceva il circuito Superenduro. L’anno prossimo, dunque, il circuito compie dieci anni. Possiamo dare qualche anteprima ai lettori di MTBCult?
- Diciamo che non siamo un’azienda che celebra un anniversario con un prodotto o con una “limited edition”; ci piacerebbe continuare a proporre luoghi, sentieri, organizzazioni di alto livello, magari evolvere qualcosa in termini di servizi che stanno intorno alla gara.
- Il livello negli ultimi anni è aumentato in modo pazzesco, sia a livello atletico che meccanico. Escursioni sempre più generose, percorsi sempre più veloci. Come è cambiato il modo di fare enduro e come sono cambiate le bici da enduro?
- Sin dalla sua nascita il Superenduro ha dato spazio alla nuova tecnologia in ambito Mtb.
Il modo di fare enduro è cambiato seguendo l’evoluzione tecnica dei mezzi: la geometria delle bici è forse la cosa più evidente, assieme a ruote e sospensioni.
Una bici da enduro attuale è pensata per la gara di enduro, non è più un surrogato, una All Mountain adattata. Nelle bici da enduro ci sono le "endurone" con sospensioni da 170, specifiche per le gare e le “endurine”, con sospensioni da 150/160 più adatte a un uso a 360°.
Quindi non c’è più la singola bici da enduro, ma le diverse bici da enduro e poi ci sono i diversi percorsi.
È innegabile che sono cresciute le velocità, si usano sempre più i mono a molla. Molti si chiederanno perché adesso nelle gare di enduro si usano i mono a molla e nelle DH quelli ad aria… Semplicemente perché in DH fai 3’ di speciale, in enduro 18’ di discesa.
È importante correre sui sentieri, su sentieri di natura naturale (il gioco di parole è voluto, ndr) e non solo su quelli preparati dei bike park. Questo perché il sentiero naturale continua a cambiare e si modifica sotto le ruote dei diversi passaggi durante le prove; quelli preparati no. Resta pertanto molto importante l’interpretazione del sentiero da parte del pilota.
- Qual è secondo te il futuro delle gare di enduro?
- Il futuro delle gare di enduro è una continua esplorazione di location e sentieri nuovi.
L’evoluzione delle gare vede tre livelli: i circuiti regionali che garantiscono l’esperienza vicino casa, in un'area territoriale circoscritta, “low cost” come trasferte, dove i partecipanti possono andare e tornare in giornata.
Poi ci sono le gara nazionali, il Superenduro per l’appunto, che mette insieme le eccellenze del territorio e che permette di richiamare stranieri.
Poi c’è l’esperienza Enduro World Series che è la massima espressione della disciplina a livello mondiale, coi migliori interpreti della stessa.
Parallelamente la Federazione Ciclistica italiana sta lavorando, per esempio, a migliorare l’integrazione tra le giurie federali e l’organizzazione locale e quella del Superenduro.
- Cosa diresti a chi vorrebbe partecipare a una tappa del Superenduro, ma pensa che sia solo un circuito per biker professionisti?
- Sicuramente fare una gara regionale con mille metri di dislivello e tre speciali è un'esperienza meno impegnativa.
Una gara del Superenduro deve essere impegnativa per dare modo ai piloti che competono ad alto livello di suonarsele... È una gara che rendi importante con fisicità, passaggi tecnici, lunghezza e dislivello.
L’amatore deve certamente avere una base fisica per reggere tutto questo, ma è anche un modo per accrescere il proprio livello tecnico. All’amatore dico che fa bene a spaventarsi e ad approcciare il Superenduro con umiltà, ma anche a mettersi in gioco.
- Infine, tema scottante: ricognizioni sì, ricognizioni no? Quante è giusto farne?
- Ricognizioni no: non è sostenibile per la sicurezza, perché la velocità delle Speciali non può essere lasciata al caso.
Ricognizioni sì: quante e come dipende da dove vai a correre, idealmente se potessimo aprire la seggiovia il venerdì prima della gara e il sabato sarebbe ottimo. Ma tecnicamente non è possibile. In più, ci sarà sempre una sorta di “vantaggio” da parte dei local.
L’altro aspetto è il piacere che la gente ha anche nel fare le prove, le risalite, furgonare con gli shuttle…. Il gravity, comunque, contempla una parte delle risalite meccanizzate.
Quindi, toglierle completamente no, regolamentarle sì, ma in funzione del posto dove sei.
Rispetto alla Francia, abbiamo leggi diverse, procedure differenti per fettucciare nei terreni o nei boschi, bisogna scontrarsi con una diversa burocrazia, insomma non è facile da noi, anzi, quasi impossibile fare enduro alla francese.
- Come vedi il futuro delle e–bike nell'enduro?
- Io vado in e-bike da 4 anni e trovo che non sia un sostituto della bici “muscolare”.
È un attrezzo bellissimo, ma diverso. Ha bisogno di un format di gara che sia enduro, ma anche altro… C’è ancora parecchio da sperimentare, non credo che siamo arrivati al capolinea; è una realtà in evoluzione.
Non vedo limitazioni a prendere l’impianto con la e-bike e non vedo limitazioni a fare come fanno i ragazzi dell'E-Enduro che sperimentano le speciali sia in salita che in discesa.
Allo stesso tempo nel Superenduro abbiamo deciso, da quest’anno, di far fare alle e-bike lo stesso percorso delle muscolari, perché in molti le scelgono come la propria bicicletta principale.
E' importante essere inclusivi, non esclusivi.
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Redazione MtbCult
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