Enrico Guala: Superenduro Back-Road, ecco cosa significa

Simone Lanciotti
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RIVA DEL GARDA - Un caffè, un panino e un incontro veloce lontano dalla folla del Bike Festival.
Ho tante domande da porre a Enrico Guala. Cominciamo...

- C’eravamo lasciati a gennaio con lo stop del Superenduro.
La domanda che mi faccio e che si fanno è: perché avete sacrificato il Superenduro Mtb per il Superenduro B-Road?

- Non abbiamo sacrificato la versione Mtb e abbiamo cercato di non sacrificare le nostre vite…
Per questo abbiamo fermato un circuito che prevedeva 17 tappe nell’ultimo anno e non stiamo facendo 17 tappe di Superenduro B-Road.
Abbiamo fermato il Superenduro Mtb per i motivi che ti ho già detto e siamo felici di questa decisione.
Siamo tornati ad andare di più in bici. A riprendere dei ritmi di vita più umani.
Non è che abbiamo fermato la Mtb per buttarci sulle bici da strada, siamo dei biker, sia io che Franco, però amiamo anche la bici a tutto tondo.
Non abbiamo abbandonato la Mtb e te lo dimostra il fatto che organizziamo la tappa di Finale ligure dell’Enduro World Series e siamo ancora implicati nel mondo enduro, sia a livello nazionale, vedi Franco con la Coppa Italia Enduro, che internazionale, vedi me con l’Enduro World Series.
Lo stop del Superenduro Mtb ci ha permesso di mettere mano a un progetto che avevamo in mente da circa due anni.
Ne parlavamo, ne riparlavamo e alla fine eccoci.
Si parte da La Morra, che è il territorio di Franco, dove lui è nato e cresciuto, ed è un modo per presentare il territorio attraverso uno strumento che è la bici.

- Però, se andiamo a rovistare negli animi degli appassionati, degli addetti ai lavori e anche di alcuni sponsor, sembra che avete del tutto abbandonato la Mtb. Oppure ci sarà un giorno un Superenduro Mtb affiancato da un Superenduro B-Road? Oppure…?
- Se ci sarà ancora un Superenduro Mtb non ti so rispondere adesso. Stiamo lavorando continuamente con Franco per capire se ci sarà uno spazio.
Il Superenduro B-Road è una cosa nuova.
Devi tenere presente che io e Franco siamo due “bestie” strane.
Ci piacciono le sfide, le cose non impossibili ma difficili, più l’asticella è alta e più ci piace metterci in gioco.
C’è già moltissimo interesse dietro a questa nuova proposta.
Il nome B-Road sta per “back road”, cioè strade secondarie, non è gravel.
Non pensate che in Italia si possa fare il gravel come lo si fa in America, semplicemente perché in Italia non abbiamo il territorio, cioè le strade bianche.
In Italia si è preferito asfaltare le strade per raggiungere prima le cascine o i campi.
Quindi abbiamo un po’ perso questo elemento e fatte salve alcune zone d’Italia (vedi la Toscana o l’Umbria) le strade sono perlopiù asfaltate.
Per noi il B-Road non è il gravel al 100%.
Sono tutte le strade che ci siamo dimenticati, perché il mondo oggi ti impone di arrivare dal punto A al punto B più velocemente e comodamente possibile.
Ma ci siamo dimenticati di tutto il resto.
Fermiamoci un attimo.
Mettere una velocità diversa nell’uso della bici, utilizzando la rete viaria meno usata, con delle bici che ti permettano di fare tutto ciò con comodità, ma senza limitazioni con l’etichetta.

- In che modo inserisci un contesto agonistico in tutto ciò?
- Partiamo da questo presupposto: non potevamo fare una randoneé perché in Italia abbiamo bisogno sempre di una classifica. Semmai si fanno le Granfondo.
Quindi l’aspetto agonistico, dal mio punto di vista, è il pretesto per aggregare il pubblico italiano.

- Però non hai ancora risposto alla mia domanda: come fa il Superenduro B-Road a essere agonistico? In che modo?
- Beh, lo è con le Prove Speciali.

- Quindi ci saranno delle Prove Speciali?…
- Sì, ci sarà una partenza a gruppi come nel Superenduro Mtb, ma cambieranno alcuni dettagli, però il percorso sarà formato da trasferimenti e Prove Speciali.

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- In salita o in discesa?
- Tutte e due. In discesa. In salita. In discesa e in salita. Ti posso dire che una delle Speciali più belle che ho fatto è di 15 Km con tanti saliscendi, con passaggi in cresta, dentro paesi e borghi, una bellissima discesa con tornati in mezzo ad alberi di nocciola e uno strappo in salita prima della fine della Speciale.

- Quale pubblico ti aspetti di vedere a queste gare?
- Tutti quelli che amano la bici e non hanno confini e barriere nella loro testa.
Con qualunque bici, con i propri amici, senza un approccio troppo agonistico, che abbiano voglia di vedere un bellissimo posto.
E proprio questo dettaglio è molto importante.
Il nostro Paese ha un grande valore dal punto di vista territoriale, ha delle eccellenze a livello mondiale, ma ce ne dimentichiamo.
Sia a livello governativo, sia a livello umano, nella nostra quotidianità.
Pensa che mi ha scritto una persona dopo aver saputo del B-Road dicendomi: “Cari Enrico e Franco, non vedo l’ora di riscoprire il mio territorio attraverso questa nuova forma”.
Perché probabilmente anche lui è abituato a usare le A-road, cioè le strade principali.
A La Morra ci sarà di tutto: superenduristi, fatbike, biker Xc…

- Ci sarà un numero limitato di iscrizioni?
- Sì, non più di 150.

- Così pochi?
- Ma sì, perché dobbiamo prima di tutto capire come gestire bene questa cosa e poi perché non abbiamo l’obiettivo di fare cassa. Cosa di cui ci hanno accusato in passato con il Superenduro.
Non siamo andati sulla strada per fare cassa, ma perché è una delle cose che a me e a Franco piace fare.
Io ho fatto il giro dell’isola di Taiwan con la bici da ciclocross ed è magnifico, perché se vedi una via sterrata non sei costretto a evitarla. Oppure una via asfaltata abbandonata e senza manutenzione.
E di strade così, anche in Italia, ce ne sono tante.

- La scelta di abbandonare il Superenduro Mtb all’ultimo momento e di creare qualcosa altrove non pensi che possa disorientare gli sponsor?
- No, e ti dico che ne ho la riprova concreta.
Nel senso che moltissime aziende ci hanno già proposto il loro aiuto e sono quelle aziende che nel Superenduro non potevano intervenire perché non avevano il prodotto adeguato.
Allo stesso tempo, sia io che Franco siamo uomini di settore e abbiamo gli occhi ben aperti e vediamo che i vari brand stanno proponendo una fruizione diversa della bici da strada.
Chiamale gravel se vuoi.
E il nostro ruolo diventa quello di proporre un modo per utilizzare questo tipo di bici che in alcuni casi sono nate perché i product manager di varie case usano la bici in quel modo lì.
Cioè sono bici che sono nate senza ancora avere un’utenza ben precisa a cui rivolgersi.
Mi ricorda molto quello che abbiamo fatto nel Superenduro 7-8 anni fa.
E molti partner ci stanno supportando da subito.
E poi non abbiamo abbandonato il Superenduro.
Il Superenduro è in congelatore e comunque ci sarà la tappa di Finale Ligure.
Semplicemente non c’erano più le condizioni per fare le gare come piaceva a me e Franco.

- Il gravel, però, permettimi, è un modo diverso di chiamare una cosa che in Europa e in Italia esisteva tanti anni fa, cioè usare una bici capace di andare sia su sterrato che su asfalto. Gli americani hanno ripreso questo concetto e gli hanno dato un nome nuovo, gravel.
Alla Sea Otter Classic ne abbiamo viste diverse di novità in tal senso e il vostro annuncio ha avuto un tempismo perfetto…

- Su MtbCult avete pubblicato la notizia dello Sram Force 1 e il giorno dopo quella della bici Scott da ciclocross e per un attimo abbiamo pensato di annunciare il Superenduro B-Road subito dopo.
Poi, però, i tempi della release si sono allungati, ma è chiaro che l’industria sta andando in quella direzione.
Però non voglio mettere l’accento sul gravel, perché tolte poche persone, in Italia nessuno sa cos’è.
Voglio mettere l’accento sul concetto B-Road.
Ci sono alcuni dischi che hanno il lato B più bello del lato A.
Basta pensare mainstream: pensiamo “B Side”.

A questo punto non rimane che attendere gli ultimi dettagli sulla prima gara del Superenduro B-Road.
Nel frattempo, Guala, ci ha confermato che lo spirito Superenduro non è defunto, anzi, ha soltanto trovato (e prima di tutto cercato) una nuova veste, senza dimenticare ciò che è stato. Cioè la Mtb.
O almeno così speriamo.
Il Back-Road è un concetto che non è poi così lontano dalla Mtb.
In fondo, quanti di noi hanno scelto questo mezzo proprio per abbandonare le solite strade asfaltate?
Solo che 15-20 anni fa non avevamo tutta queste opzioni di bici...

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Sull'autore
Simone Lanciotti

Sono il direttore e fondatore di MtbCult (nonché di eBikeCult.it e BiciDaStrada.it) e sono giornalista da oltre 20 anni nel settore delle ruote grasse e del ciclismo in generale. La mountain bike è uno strumento per conoscere la natura e se stessi ed è una fonte inesauribile di ispirazione e gioia. E di conseguenza MtbCult (oltre a video test, e-Mtb, approfondimenti e tutorial) parla anche di questo rapporto privilegiato uomo-Natura-macchina. Senza dimenticare il canale YouTube, che è un riferimento soprattutto per i test e gli approfondimenti.

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